Storia, Chiesa, Papato, Papa Gregorio Primo Magno, Antico Ritratto, Roma, Incisione

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GREGORIO PRIMO

 



Interessante antica edizione,

bella e suggestiva raffigurazione di un antico pontefice;

incisione originale antica, all'acquaforte e xilografica (praticamente una doppia incisione essendo state utilizzate due matrici, una in rame per il ritratto vero e proprio, e una in legno per la cornice che contorna il ritratto); in origine incisione edita quale tavola illustrativa nel testo di una pubblicazione specialistica, probabilmente della fine del '500;

 misura circa cm.16x13 (la sola parte figurata), su foglio di circa cm.22x16 (l'intero foglio, compresi i margini bianchi rifilati diseguali); databile alla fine del XVI sec.;

con stemma araldico pontificio impresso in alto a sinistra.

 


 

DI INTERESSE ARTISTICO, SPECIALISTICO, ARALDICO, COLLEZIONISTICO

Buona conservazione generale, segni e difetti d'uso e d'epoca, sparse fioriture e sgualciture e difetti vari marginali, unico foglio impresso al recto e con scritte impresse al verso, incisione ben impressa e di ottima qualità artistica,

stampa meritevole di essere inserita sotto passpartout ed incorniciata.

(l'immagine allegata raffigura un particolare dell'intero foglio, eventuali ulteriori informazioni a richiesta)

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della stessa serie sono anche disponibili i ritratti (stessa epoca di stampa e stesse dimensioni), relativi a numerosi altri antichi pontefici, e tra i pontefici di nome GREGORIO:

GREGORIO: PRIMO, SECONDO, TERZO, QUARTO, QUINTO, SESTO, OTTAVO, NONO, DECIMO, DODICESIMO

(eventuali ulteriori informazioni a richiesta; ovviamente la presente offerta in asta riguarda esclusivamente l'incisione sopra descritta relativa al papa Gregorio I°)

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Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande (Roma540 circa – Roma12 marzo 604), fu il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, dal 3 settembre 590 fino alla sua morte. La Chiesa cattolica lo venera come santo e dottore della Chiesa. Anche le Chiese ortodosse lo venerano come santo.


Gregorio Magno nacque verso il 540 da una famiglia aristocratica. Alcuni genealogisti collocano fra gli antenati di Gregorio i papiFelice II e Agapito. Gregorio era figlio di Gordiano. papa Gregorio Magno scrive «ego quoque tunc urbanam praeturam gerens pariter subscripsi», anche se in una variante del testo praeturam è sostituita da praefecturam. A causa della variantepraeturam/praefecturam, non è possibile sapere con esattezza se fu prefetto urbano o piuttosto pretore urbano.


Grande ammiratore di Benedetto da Norcia (anch'egli discendente della gens Anicia), decise di trasformare i suoi possedimenti a Roma (sul Celio) e in Sicilia in altrettantimonasteri e di farsi monaco, quindi si dedicò con assiduità alla contemplazione dei misteri di Dio nella lettura della Bibbia.

Non poté dimorare a lungo nel suo convento del Celio poiché, dopo essere stato ordinato diaconopapa Pelagio II lo inviò verso il 579 come apocrisario, presso la corte diCostantinopoli, dove restò per sei anni, e si guadagnò la stima dell'imperatore Maurizio I, di cui tenne a battesimo il figlio Teodosio.

Al proprio rientro a Roma, nel 586, tornò nel monastero sul Celio; vi rimase però per pochissimo tempo, perché il 3 settembre 590 fu chiamato al soglio pontificio dall'entusiasmo dei credenti e dalle insistenze del clero e del senato di Roma, dopo la morte di Pelagio II di cui era stato segretario. Gregorio cercò di resistere alle insistenze del popolo, inviando una lettera all'Imperatore Maurizio in cui lo pregava di intervenire non ratificando l'elezione, ma il praefectus urbi di Roma, di nome Germano o forse fratello di Gregorio,[1] intercettò la lettera e la sostituì con la petizione del popolo che chiedeva che Gregorio fosse eletto papa.

In quel tempo Roma era afflitta da una terribile pestilenzaPer implorare l'aiuto divino, Gregorio fece andare il popolo in processione per tre giorni consecutivi alla basilica di Santa Maria Maggiore[senza fonte]cosa che, ovviamente, aumentò i contagi[senza fonte]. Cessata l'epidemia, più tardi una leggenda disse che, durante la processione, era apparso sulla mole Adriana l'arcangelo Michele che rimetteva la spada nel suo fodero come per annunziare che le preghiere dei fedeli erano state esaudite. Da allora il mausoleo di Adriano mutò il nome in quello di Castel Sant'Angelo e una statua dell'angelo vi fu posta sulla cima.[2]

Come papa si dimostrò uomo di azione, pratico e intraprendente (chiamato "l'ultimo dei Romani"), nonostante fosse fisicamente abbastanza esile e cagionevole di salute. Fu amministratore energico, sia nelle questioni sociali e politiche per supportare i bisognosi di aiuto e protezione, sia nelle questioni interne della Chiesa.


Trattò con molti paesi europei; con il re visigoto Recaredo di Spagna, convertitosi al cattolicesimo, Gregorio fu in continui rapporti, e fu in eccellente relazione con i re franchi. Con l'aiuto di questi e della regina Brunechilde, riuscì a tradurre in realtà quello ch'era stato il suo sogno più bello: la conversione della Britannia, che affidò ad Agostino di Canterbury, priore del convento di Sant'Andrea.

A questo proposito si racconta che un giorno, scendendo dal suo convento sul Celio e vedendo al mercato alcuni giovani schiavi britannici esposti per la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, esclamasse rammaricato:

« Non Angli, ma Angeli dovrebbero esser chiamati… »

In meno di due anni diecimila Angli, compreso il re del KentEdelberto, si convertirono. Era questo un grande successo di Gregorio, il primo della sua politica che mirava ad eliminare gli avversari della Chiesa e ad accrescere l'autorità del papato con la conversione dei "barbari".

Si trovò a dover provvedere, a fronte di un'inefficiente esercito imperiale, alla difesa di Roma, assediata nel 593 da Agilulfore dei Longobardi, coi quali poi riuscì a stabilire rapporti di buon vicinato e avviò la loro conversione dall'eresia ariana al cattolicesimo grazie anche all'influente sostegno della regina Teodolinda.

Gregorio Magno si trovò di fronte a una situazione difficile: Roma era minacciata dai Longobardi mentre le truppe che dovevano difendere la città erano mal pagate e vi era il rischio che si rivoltassero. Papa Gregorio invocò più volte l'aiuto militare dell'Impero, ma non fu ascoltato. I Longobardi, riporta Gregorio Magno, continuavano a devastare l'Italia: nel 590furono da essi devastate le città di Minturnia (nei dintorni di Formia), Tauriana (in Calabria) e Fano, facendo fuggire il clero e facendo prigionieri, che dovettero essere riscattati dal Papa. Nel 591, inoltre, il duca di SpoletoAriulfo, appena asceso al ducato, iniziò a condurre una politica espansionistica a danni dei Bizantini, conquistando le città del corridoio umbro che collegava Roma con Ravenna e assediando la Città Eterna stessa, da cui si ritirò solo dopo aver estorto alla città assediata un tributo; nel frattempo anche Napoli era minacciata dai Longobardi di Benevento. L'esarca non intervenne in aiuto di Roma, nonostante le richieste di aiuto di Papa Gregorio, il quale, dopo l'assedio, scrisse all'arcivescovo di Ravenna, Giovanni, lamentandosi per il comportamento dell'esarca, che «...rifiuta di combattere i nostri nemici e vieta a noi di concludere la pace».[3] Papa Gregorio, infatti, premeva per una tregua tra Imperiali e Longobardi affinché ritornasse la pace nella penisola e si ponesse fine alle devastazioni belliche, ma Romano non era d'accordo e fece di tutto per ostacolarlo.[4]

Papa Gregorio Magno fu uno degli oppositori alla politica dell'esarca Romano.

Nel 592 Romano, venuto a conoscenza che Papa Gregorio era in trattative con il Ducato di Spoleto per una pace separata, si mosse per rompere le trattative, un po' perché non tollerava l'insubordinazione del Pontefice, che stava trattando con il nemico senza alcuna autorizzazione imperiale, un po' perché concludere la pace in quel momento avrebbe riconosciuto il corridoio umbro in mani longobarde, cosa che l'esarca non intendeva che accadesse. Nel luglio 592, quindi, l'esarca, partendo da Ravenna, raggiunse via mare Roma e dalla Città Eterna partì alla riconquista delle città del Corridoio umbro: dopo una breve campagna, riuscì a riconquistarle.[5] Questa campagna, come previsto, ruppe le trattative di pace che Papa Gregorio aveva avviato con i Longobardi, provocando un ulteriore peggioramento dei rapporti con il pontefice, che si lamentò in seguito del comportamento dell'esarca, che aveva impedito che si giungesse a una tregua «senza alcun costo per l'Impero» con i Longobardi. La campagna di Romano non generò però solo lo sdegno del pontefice, ma anche la reazione di re Agilulfo, che da Pavia marciò in direzione di Perugia, dove giustiziò il duca longobardo traditore Maurisione, reo di aver consegnato la città all'Impero, e poi assediò Roma, nel 593. Dopo aver deplorato in alcune omelie sul profeta Ezechiele il triste stato di Roma, un tempo caput mundi ma ora circondata dal nemico che tutto devastava, il Santo Padre, visto che l'aiuto dell'Impero latitava, si vide costretto a convincere Agilulfo a levare l'assedio alla Città Eterna pagando di tasca propria 5000 libbre d'oro. Scrisse poi all'Imperatore Maurizio: «Con i miei stessi occhi, ho visto i romani legati come cani da una corda al collo che venivano condotti via per essere venduti come schiavi in Francia».[6]

Papa Gregorio Magno continuò ad insistere per una pace, cercando di convincere lo scolastico di Romano, Severo, a convincere l'esarca a firmare una tregua con i Longobardi,[7] ma senza alcun risultato apprezzabile; anzi, i suoi tentativi subirono la disapprovazione dell'Imperatore Maurizio, che, concordando con la politica dell'esarca Romano, accusò il Papa di infedeltà all'Impero e di stupidità per i suoi tentativi di negoziazione. Il pontefice, furente, replicò con un'altra lettera nella quale sosteneva che, se non fosse stato un ingenuo, non avrebbe accettato di subire tutte le sofferenze subite da Roma e che l'Imperatore si doveva guardare dai cattivi consiglieri che lo circondavano: «l'Italia ogni giorno viene condotta prigioniera sotto il giogo dei Longobardi e, mentre non si crede affatto alle mie argomentazioni, le forze dei nemici crescono oltre misura».[8] Nella stessa epistola il Papa consigliò l'Imperatore di guardarsi dai suoi cattivi consiglieri, Leone e Nordulfo, «le cui asserzioni ricevono più attenzione delle mie».[9] Le trattative di pace non andarono avanti, perché sempre ostacolate dall'esarca Romano, «la cui malizia è persino peggiore delle spade dei Longobardi, tanto che i nemici che ci massacrano sembrano dolci in comparazione con i giudici della Repubblica che ci consumano con la rapina...»[10] (così scrisse Papa Gregorio Magno al vescovo di Sirmio nella prima metà del 596), e, nel 596, alcuni affissero su una colonna a Ravenna uno scritto satirico insultante il Pontefice e la sua politica per il raggiungimento della pace, il quale volle scomunicare gli autori del gesto.

Nel 596 i Longobardi attaccarono la Campania e la Calabria, espugnando Crotone. Nel 597 la sorella dell'Imperatore Maurizio, Teoctista, inviò al papa 30 libbre d'oro, che permisero al pontefice di riscattare i prigionieri fatti nella presa di Crotone: «...molti uomini e molte donne nobili sono stati portati via come preda e i figli sono stati separati dai genitori, i genitori dai figli e le mogli dai mariti». Il denaro non fu però sufficiente a riscattare tutti i prigionieri, molti dei quali rimasero sotto la prigionia dei «...nefandissimi Longobardi».

Le trattative con i Longobardi, comunque, continuarono, e subirono un'accelerazione quando l'esarca Romano perì e gli succedette Callinico, maggiormente favorevole alla pace. Alla fine del 598, Longobardi e Imperiali firmarono finalmente una pace, che probabilmente però era solo una tregua armata di tre anni, nonostante Paolo Diacono la definisca "fermissima". Il sogno di papa Gregorio Magno si era realizzato, ma solo tre anni dopo la pace venne violata dall'esarca. La guerra tuttavia durò poco e già a partire dal 603 la pace tra Longobardi e Bisanzio veniva rinnovata ogni anno per tutta la durata del regno di Agilulfo.


I rapporti con l'Imperatore Maurizio non sempre furono cordiali. Quando l'Imperatore, per fermare la fuga dei decurioni, i quali, per sfuggire alle loro responsabilità, entravano in monastero, promulgò un editto con cui vietava ai funzionari pubblici e ai soldati privati di farsi monaci, Papa Gregorio protestò: se non aveva nulla da obiettare sulla prima parte della legge (quella riguardante i funzionari pubblici), obiettò invece sulla proibizione ai soldati imperiali di diventare «soldati di Cristo», ovvero di entrare a far parte del clero.[11] Dal 594 al 599 il Papa fu in disputa con Massimo, vescovo di Salona, accusato dal Papa di simonia; Massimo, favorito dalla corte imperiale, poté mantenere il seggio e arrivò addirittura ad accusare Papa Gregorio di aver fatto uccidere un vescovo dalmata di nome Malco, inviato in Italia per rendere conto su una presunta cattiva amministrazione del patrimonio papale e deceduto improvvisamente in esilio.[12]

Nel 595 i rapporti divennero maggiormente tesi; quando l'Imperatore lo definì in una lettera "sciocco" per il suo tentativo di fare pace con i Longobardi di Spoleto, il Papa, offeso rispose:

« ...Mi è stato detto di essere stato ingannato da Ariulfo, e sono stato definito "sempliciotto",... che significa indubbiamente che sono uno sciocco. E io stesso debbo confessare che avete ragione... Se non lo fossi, non avrei mai accettato di patire tutti i mali che ho sofferto qui per le spade dei Longobardi. Voi non credete a quello che dico riguardo ad Ariulfo, riguardo al fatto che sarebbe disposto a passare dalla parte della Repubblica, accusandomi di dire menzogne. Dato che una delle responsabilità di un prete è di servire la verità, è un grave insulto essere accusati di menzogna. Sento, inoltre, che viene riposta più fiducia nelle asserzioni di Leone e Nordulfo, invece che alle mie... Ma quello che mi afligge è che la stessa tempra che mi accusa di falsità permette ai Longobardi di condurre giorno dopo giorno tutta l'Italia prigioniera sotto il loro giogo, e mentre nessuna fiducia è riposta nelle mie asserzioni, le forze del nemico crescono sempre di più... »
(Papa Gregorio Magno, Epistole, V,40.)

Lo scontro tra Papa e Imperatore si acuì nel 595 quando il Patriarca di Costantinopoli, Giovanni Nesteute, si proclamò Patriarca Ecumenico, dichiarandosi di autorità pari al Papa. Di fronte alle proteste di Papa Gregorio, il patriarca chiese all'Imperatore il sostegno contro il Pontefice. L'Imperatore scrisse quindi una lettera a Papa Gregorio, esortandolo a porre fine alla querela avendo la Chiesa bisogno di pace, e non di controversie religiose. Papa Gregorio rispose all'Imperatore con un'altra lettera, in cui esprime lode all'Imperatore per la sua volontà di riportare la pace nella Chiesa, ma precisa che è stato il Patriarca a iniziare la contesa, usurpando un titolo non suo:

« ...Quando noi lasciamo la posizione che ci spetta, e assumiamo noi stessi onori indecenti, alliamo i nostri peccati con le forze dei barbari... Come possiamo scusarci per predicare una cosa al nostro gregge, e poi mettere in pratica l'opposto? ... Maestri di umiltà e generali di superbia, noi nascondiamo i denti da lupo dietro un volto da pecora. Ma Dio ... sta infondendo nel cuore del nostro Più Pio Imperatore la volontà di restaurare la pace nella Chiesa.
Questa non è la mia causa, ma quella di Dio stesso. Fu a Pietro... che il Signore disse: "Tu sei Pietro, e su questa pietra fonderò la mia Chiesa". Colui che ricevette le chiavi del Regno dei Cieli... non fu mai chiamato Apostolo Universale; e ora il più Santo Uomo, il mio vescovo collega Giovanni rivendica il titolo di Vescovo Universale. Quando vedo questo sono costretto a urlare "O Tempora, o mores!"
Tutta l'Europa è nelle mani dei Barbari... e, malgrado tutto, i preti ... cercano ancora per sé stessi e fanno sfoggio di nuovi e profani titoli di superbia! »
(Papa Gregorio Magno, Epistole, V,20.)

Papa Gregorio Magno pregò quindi l'Imperatore di fare in modo che il Patriarca abbandonasse la pretesa di assumersi il titolo di "patriarca ecumenico" e successivamente scrisse all'Imperatrice Costantina che «nella superbia di mio fratello posso solo vedere un segno che i giorni dell'Anticristo stiano per arrivare». Poche settimane dopo l'invio della lettera all'Imperatrice, il patriarca perì, e anche se il suo successore, Ciriaco, mantenne il titolo di "Ecumenico", i rapporti con Papa Gregorio furono più cordiali e meno accesi. Nonostante un decreto dell'Imperatore Foca (successore di Maurizio) avesse riconosciuto il primato della Chiesa di Roma, i patriarchi di Costantinopoli non abbandonarono più il titolo di "Patriarca Ecumenico" che aveva causato la contesa con la Chiesa di Roma; e realizzando che non era possibile vietare loro di utilizzarlo, i Papi stessi, a partire dal 682 ca., cominciarono a utilizzarlo per loro stessi.

Nel 595 papa Gregorio Magno denunciò all'imperatrice Costantina l'elevata pressione fiscale in SiciliaSardegna e Corsica, politicamente non facenti parte all'epoca dell'Italia (Sardegna e Corsica facevano parte dell'Esarcato d'Africa): in Corsica i genitori erano costretti a vendere i figli e molti si trasferirono per la disperazione in territorio longobardo, mentre in Sicilia un funzionario di nome Stefano confiscava le proprietà a suo arbitrio:

« Essendo venuto a conoscenza che molti dei nativi della Sardegna ancora ... fanno sacrifici agli idoli..., ho inviato uno dei vescovi dell'Italia, che... convertì molti dei nativi. Ma mi ha narrato che... quelli nell'isola che sacrificano gli idoli pagano una tassa al governatore della provincia per fare ciò. E, quando alcuni sono stati battezzati e hanno cessato di sacrificare agli idoli, il suddetto governatore dell'isola continuava a richiedere da essi il pagamento della tassa... E, quando il suddetto vescovo parlò con lui, egli replicò che aveva promesso unsuffragium così grande che non ce l'avrebbe fatta a pagarlo se non agendo in questo modo. Ma l'isola di Corsica è talmente oppressa da così tanti esattori e da così tante tasse, che i suoi abitanti possono difficilmente farcela a pagarle se non vendendo i loro figli. Per cui i proprietari terrieri della suddetta isola, abbandonando la Pia Repubblica, sono costretti a cercare rifugio nella nefandissima nazione dei Longobardi... Inoltre, in... Sicilia si dice che un certo Stefano, chartularius nelle questioni marittime, commetta così tante iniquità e oppressioni, ...confiscando senza alcun processo legale proprietà e case, che se desiderassi elencare tutti i suoi misfatti giunti alle mie orecchie, non mi basterebbe nemmeno un grande libro... Sospetto che tali misfatti non siano giunti alle vostre Più Pie Orecchie, perché se fosse stato così, non sarebbero affatto continuati fino ad oggi. Ma è ora che il Nostro Più Pio Signore [l'Imperatore] venga a conoscenza di ciò, così che possa rimuovere un così grave peso di colpa dalla sua anima, dall'Impero e dai suoi figli. Lo so ch'egli dirà che quel che si ritrae da queste isole, è impiegato nelle spese delle armate per loro difesa; ma è questo forse il motivo del poco profitto ch'elle ricavano da tali riscossioni, essendo tolte altrui non senza mescolanza di colpa... »
(Papa Gregorio Magno, Epistole, V,41.)

Amministrazione interna [modifica]

Nei territori che cadevano sotto la propria responsabilità amministrativa in Italia, nel cosiddetto Patrimonio di San Pietro, Gregorio seppe far fronte, aiutato da una rete di funzionari, a una serie di problemi, resi più gravi dalle continue alluvioni, carestie e pestilenze; ebbe cura degli acquedotti e favorì l'insediamento dei coloni eliminando ogni residuo di servitù della gleba. Riuscì a intrattenere rapporti epistolari anche con il re della BarbagiaOspitone, e cercò di dissuadere la popolazione dall'idolatria e dal paganesimo, convertendo Ospitone stesso al Cristianesimo.

Tomba di Gregorio, nella basilica di San Pietro in Vaticano

Riorganizzò a fondo la liturgia romana, ordinando le fonti liturgiche anteriori e componendo nuovi testi, e promosse quel canto tipicamente liturgico che dal suo nome si chiama "gregoriano". L'epistolario (ci sono pervenute 848 lettere) e le omelie al popolo ci documentano ampiamente sulla sua molteplice attività e dimostrano la sua grande familiarità con la Sacra Scrittura.

Morì il 12 marzo 604.

Si può dire che sia stato il primo papa che abbia utilizzato anche il potere temporale della Chiesa senza, comunque, dimenticare l'aspetto spirituale del proprio compito.

Il canto gregoriano [modifica]

Gregorio stabilisce il canto gregoriano

Il canto gregoriano è il canto rituale in lingua latina adottato dalla Chiesa cattolica e prende il nome da Gregorio I. Mentre non si sa se abbia scritto egli stesso dei canti (i manoscritti più antichi contenenti i canti del repertorio gregoriano risalgono al IX secolo), la sua influenza sulla Chiesa fece sì che questi prendessero il suo nome.

A tal proposito si cita la famosa leggenda di san Gregorio Magno, tramandata da un intellettuale longobardo della corte di Carlo Magno (Paul Warnefried, detto Paolo Diacono) e da un gruppo di illustrazioni di vari manoscritti che vanno dal IX al XIII secolo: Gregorio avrebbe dettato i suoi canti ad un monaco, alternando tale dettatura a lunghe pause; il monaco, incuriosito, avrebbe scostato un lembo del paravento di stoffa che lo separava dal pontefice, per vedere cosa egli facesse durante i lunghi silenzi, assistendo così al miracolo: una colomba (che rappresenta naturalmente lo Spirito Santo), posata su una spalla del papa, gli stava a sua volta dettando i canti all'orecchio.


Una leggenda apocrifa sulle sue origini vuole che i suoi genitori biologici fossero due gemelli di nobile nascita, che avrebbero commesso incestosu istigazione del diavolo[senza fonte]. Ancora neonato, sarebbe stato affidato al mare dalla madre, che lo aveva posto all'interno di una cesta nella quale sarebbe stato trovato e poi allevato da un pescatore. All'età di sei anni sarebbe entrato in un convento, successivamente lasciato per inseguire una carriera da cavaliere. Viaggiando fino alla sua terra di origine, vi avrebbe sposato la regina del luogo, che era, a sua insaputa, sua madre. Dopo aver scoperto questo doppio incesto, avrebbe speso diciassette anni nel pentimento prima di essere, infine, eletto papa.

Questo mito ha ispirato il romanzo L'eletto (Der Erwählte) di Thomas Mann. (dal web, wikipedia)

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